A sud del confine, a ovest del sole di Haruki Murakami mi è parso diverso rispetto ai libri precedentemente pubblicati dall’autore.
Trama
Meno onirico, più realistico, Murakami analizza la storia di un uomo, Hajime, intrappolato in una vita che gli si è costruita intorno, quasi in modo passivo, come se fosse stato succube di eventi che l’hanno portato ad avere una moglie, due figlie, un locale di successo.
E nonostante lui ami sia la sua famiglia sia il suo lavoro, si sente incompleto e lo capisce quando dopo tanti anni incontra nuovamente la sua amica di infanzia Shimamoto.
Capisce che dietro le sue titubanze, dietro l’ombra della solitudine che mai lo aveva abbandonato, c’era il problema di essere figlio unico. Nessun bambino lo aveva mai capito e nessuna amicizia è stata mai così profonda come quella con Shimamoto, anche lei figlia unica.
Nel loro essere diversi, si sentivano molto simili. Negli anni si erano persi di vista e se da una parte Hajime aveva continuato a vivere la sua vita con la maschera dell’uomo felice e appagato, dall’altra parte Shimamoto non era mai riuscita a vivere in serenità.
A questa figura femminile si contrappone la figura di Yukiko, la moglie del protagonista, una donna comune, nata da una famiglia benestante e con altri fratelli, che gode delle felicità della vita e apparentemente contenta della sua mediocrità.
Tuttavia, anche la persona che può sembrare più appagata e soddisfatta, in realtà cela dentro di sé un’altra personalità e una tristezza interiore ben nascosta all’occhio distratto.
Yukiko rivela al marito di capire più in là di ciò che appare, che lui “non le ha mai chiesto niente di lei”, ed è qui che si capisce la profondità di questo personaggio, che fino a quel momento faceva solo da cornice alla vita del protagonista.
Considerazioni personali
Murakami ci dà un messaggio di speranza: il riscatto nel lavoro di Hajime. Il cambiamento radicale nella sua vita ci fa capire che tutto è possibile e che anche quando ci troviamo in un periodo buio e che non ci soddisfa, possiamo sempre cambiare e dare una svolta a tutto. Certo Hajime ha avuto una grande mano dal suocero, ma è stato grazie alle sua capacità imprenditoriali che i locali hanno avuto successo.
“Io non sono proprio tagliato per quel tipo di lavoro e credo neanche tu. Per capirlo, ci ho impiegato otto anni, durante i quali mi sembra quasi di aver sprecato la mia vita, il periodo migliore fra i venti e i trent’anni. Non so come ho fatto a resistere tutto quel tempo lì dentro. Eppure, se non ci fossero stati quegli anni, forse oggi non sarei arrivato a questo punto. Amo il mio lavoro di adesso. Sono solo il proprietario di due locali, ma a volte mi appaiono come spazi immaginari creati dalla mia mente.”
Questo romanzo mi sembra diverso rispetto agli altri proprio perché non esistono personaggi comuni contrapposti ad eroi non convenzionali, non c’è un elogio alla diversità (come è solito fare Murakami), bensì tutti sono dotati di una personalità diversa e più profonda, che può celarsi dietro ad un’esistenza, in apparenza, spensierata.
Se vuoi sapere altro su questo autore, puoi leggere le recensioni dedicate Alla scoperta di Murakami.
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